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Per Aspera Ad Veritatem n.10
Intelligence e realtà industriale

Carlo CALLIERI




Cercherò di svolgere più che una relazione, una chiacchierata sui temi che credo possano essere più interessanti dal vostro punto di vista, per poi lasciare al dibattito domande per l'approfondimento di quanto voi ritenete abbia eventualmente un nesso, essendo il tema molto complesso.
Credo che sia ormai chiaro ed evidente che nel mondo sono intervenuti grandi cambiamenti, che questi cambiamenti sono l'effetto insieme della caduta dei blocchi, della caduta delle ideologie, di una grande diffusione di tecnologie pervasive, che sono quelle della digitalizzazione del trattamento delle informazioni e delle comunicazioni, della conseguente e progressiva apertura e integrazione dei mercati, prima mercati finanziari poi mercati diciamo così dei beni e dei servizi prodotti, insieme ancora con un forte cambiamento degli stili di consumo e delle logiche di consumo, in particolare, per le società occidentali evolute.
Questo mix di fattori di cambiamento ha creato e sta creando una grande discontinuità rispetto alle logiche e alle evoluzioni precedenti con una fortissima accelerazione e con la creazione, da una parte, di grossi problemi, dall'altra di grandi opportunità.
I problemi sono quelli di un sistema di regolazione mondiale che stenta a prendere vita essendo il precedente sistema un sistema di regolazione per opposizioni.
Il tipo di regolazione che per il mondo si prospetta in una situazione come questa deve necessariamente basarsi su logiche di cooperazione e di integrazione.
Non è possibile, non è pensabile che ci sia una egemonia nel mondo, cioè una potenza egemone che funga da regolatore per tutti perché le differenze che nel mondo esistono in termini di distribuzione del reddito non sono gestibili in termini di egemonia. Possono essere risolte queste tensioni potenziali soltanto attraverso sistemi cooperativi integrativi.
Questo è un dato di realtà politica che è fortemente esaltato dagli altri fenomeni cui prima facevo cenno. Nel momento in cui, anche per il portato delle tecnologie, denaro e titoli si smaterializzano e vengono tradotti in impulsi elettronici, la finanza si configura come il mitico mercato perfetto di cui gli economisti teorizzavano la non esistenza in natura perché questa smaterializzazione consente una velocità e inerzia zero nella circolazione sia per ragioni di tempo che di spazio, che portano a configurare la logica del mercato perfetto e la possibilità di incontro istantaneo tra domanda ed offerta.
Ciò che, quando denaro e titoli erano materializzati in pezzi di carta, non poteva concretamente avvenire perché almeno le isteresi temporali e quelle di spazio comunque pesavano. è vero che una lettera di credito di un mercante lucchese da Lucca a Smirne ci metteva 14 giorni, tempo molto più basso di quanto ci si metterebbe oggi con la posta, ma 14 giorni rispetto a spazi infinitesimali di tempo che sono consentiti da circuiti telematici è una differenza abissale.
La globalizzazione delle finanze e quindi la libertà di circolazione dei capitali è uno dei grandi fattori di cambiamento che si aggiunge a quello del mutamento dei sistemi di equilibrio.
Non c'è dubbio che questo cambiamento ancora una volta presenta rischi e opportunità.
Le opportunità sono quelle per il denaro di allocarsi laddove esistono condizioni più favorevoli per l'allocazione stessa, il rischio che se non nasce un sistema standard, un sistema di regole comunemente riconosciute e accettate e in qualche modo anche sanzionate e sanzionabili, la velocità con cui masse di denaro importanti senza alcuna isteresi possono spostarsi nel mondo e l'esaltazione che le scommesse sul futuro e quindi i derivati possono portare anche ad una leva di piccola o media grandezza finanziaria, possono portare sconquassi.
E s'è visto che alcuni blasonati e storici istituti sono stati travolti dall'insieme di questi due fenomeni e dalla mancanza di regole, regole che è difficile nascano in un rapporto "top down" da autorità illuminate verso il mercato.
Devono nascere anche, oltre che in un corretto rapporto per esempio tra regole del commercio mondiale cui è preposto il W.T.O., l'Organizzazione mondiale dei commerci, anche dalla capacità di autoregolamentazione volontaria degli operatori e poi da logiche di selezione e di controllo su standard così definiti.
E questa è un'azione in corso che sicuramente accelererà perché l'accelerazione comunque è nel progresso tecnologico, l'accelerazione e la messa a punto di strumenti sempre più sofisticati rischia di rendere il tema della regolazione o le logiche attraverso le quali si affronta il tema della regolazione obsolete rispetto ai progressi che nel frattempo gli strumenti fanno.
Il secondo tema fondamentale per cui le tecnologie sono generatrici di grandi opportunità e nello stesso tempo fattore di accelerazione, da una parte dei potenziali dei riequilibri e dall'altra dei rischi di squilibrio, è dovuto al fatto che insieme comunicazione e informazione sono merce e quindi aprono potenziali nuovi mercati di rilevante interesse.
Tutto il mondo crescente delle applicazioni di comunicazione e informazione sono insieme fattore di produzione moderno e fattore di produzione non tradizionale, non precedentemente conosciuto ma di grandissima importanza perché costituiscono un fattore per così dire integrativo cioè un fattore che riesce a operare in migliore integrazione tra capitale - lavoro, tra investimenti - lavoro, tra investimenti - lavoro - mercato, tra investimenti - lavoro e clienti.
I flussi informativi organizzati consentono di lavorare a distanza con un rilevante livello di integrazione, consentono di operare su fasi e cicli complessi di produzione, di organizzazione anziché in sequenza per logiche a catena e per suddivisione dei processi in termini di fasi elementari in logiche di contemporaneità, perché gli strumenti oltre a consentire l'integrazione in parallelo consentono anche capacità di programmazione, capacità di gestione, capacità di regia, capacità di valutazione e controllo, di attività che si svolgono in simultanea, cosa che attraverso sistemi tradizionali di organizzazione sarebbe impossibile.
Questo diverso approccio della organizzazione del lavoro che è consentita appunto da questo nuovo fattore produttivo sostanzialmente integrativo cambia le concezioni di azienda, la struttura e l'organizzazione dell'impresa, fa evolvere le imprese verso logiche a rete e fa evolvere il sistema delle imprese verso integrazioni di rete.
Da una parte l'impresa che si sviluppa a rete, dall'altra imprese che si associano a modo di rete, in modo tale da poter massimizzare energie verso obiettivi sempre più rilevanti con la capacità di combinare insieme ciò che in precedenza era difficilmente combinabile: l'economia di scala con l'economia di scopo.
L'economia di scopo è difficilmente combinabile con l'economia di scala perché l'economia di scala punta inevitabilmente a degli standard. Uno standard che contraddice l'economia di scopo.
Gli approcci organizzativi e le logiche di integrazione produttiva e organizzativa che sono consentite dalle nuove tecnologie possono mettere insieme il massimo della finalizzazione e quindi il massimo, per così dire, della personalizzazione del prodotto, con il massimo compatibile di economia di scala, attraverso appunto approcci di tipo reticolare e organizzazioni fortemente flessibili.
Questo tipo di organizzazione consente di affrontare le logiche della competizione a livello globale, tenendo presente che il mondo che abbiamo conosciuto era fatto di circa 400 milioni di consumatori evoluti. Nei prossimi 10-15 anni sarà fatto di 4 miliardi di consumatori evoluti e quello che conosceremo nella fase successiva porterà a completamento il ciclo interessando tutta la popolazione mondiale.
In questi 4 miliardi di consumatori che raggiungeranno livelli di evoluzione positiva nei prossimi due decenni, avremo situazioni fortemente differenziate con livelli di crescita verso il benessere e verso comportamenti da consumo evoluto, differenziati perché differenziati sono i punti di partenza e differenziate sono inevitabilmente le loro città di progresso così come differenziati probabilmente saranno i risultati finali, assestati perché ciascuna delle aree del mondo ha poi alcune sue radici culturali che non sono, come dire, totalmente piegabili e sono ispiratrici, saranno probabilmente ispiratrici di alcuni atteggiamenti, di alcuni comportamenti che influenzeranno il risultato finale, in termini di modello di consumo.
Questa varietà difficilmente dominabile attraverso gli standard, è invece gestibile attraverso un approccio che parte dalle esigenze e dai bisogni e retroagisce sul sistema produttivo in termini di risposta finalizzata a quella esigenza e a quei bisogni.
Ed è questa la logica della competizione globale. Per cui, nella crescita straordinaria che sta avvenendo in talune economie, le economie del Sud-Est asiatico, le economie del Sud-America, le economie dell'Est europeo, noi non dobbiamo assolutamente vedere una minaccia, una minaccia ai nostri stili di vita, una minaccia al nostro benessere, una minaccia alle nostre abitudini consolidate.
Noi dobbiamo vedere in questa crescita una straordinaria opportunità, opportunità innanzitutto che si realizzi nel mondo quel sistema di equilibri che il mondo ha conosciuto soltanto in alcune fasi della sua storia.
Gli equilibri fatti, appunto, di integrazione e cooperazione e non di egemonia, l'egemonia non è mai un equilibrio, è una imposizione.
In questa straordinaria crescita lo vediamo e dobbiamo vedere processi di interscambio e processi di crescita nel commercio mondiale che consentono una valorizzazione e una crescita di tipo qualitativo dei processi produttivi di beni e di servizi sempre più evoluti nell'area oggi più evoluta e in evoluzione positiva nelle aree in ritardo di sviluppo, con relazioni reciproche, clienti fornitori e non relazioni univoche da fornitori verso clienti, ciò che non sarebbe suscettibile di generare sviluppo e di generare integrazione.
In questa visione complessiva, ci si può chiedere e credo sia il momento di cercare di dare qualche risposta sul ruolo che giocano gli Stati, sul ruolo che giocano gli organismi di Sicurezza.
Non c'è dubbio che gli Stati vanno verso delle progressive devoluzioni in alcuni attributi della sovranità verso organismi sovranazionali e questo è un dato inevitabile.
L'integrazione europea porta di conseguenza alcune, per ora limitate ma poi progressivamente crescenti in prospettiva, perdite di sovranità: la moneta è una delle prime espressioni di sovranità e la costituzione in moneta unica europea significa una perdita di sovranità verso una sovranità condivisa.
Laddove si facessero ulteriori passi avanti, come è auspicabile sugli altri temi fondamentali della sovranità, che sono politica estera e politica di sicurezza, si passerebbe da un sistema di sovranità esclusiva a un sistema di sovranità condivisa tra partners diversi.
Su alcuni temi, come i diritti doganali, abbiamo avuto una perdita di sovranità verso un organismo come il W.T.O., che è non legato a dimensione continentale europea ma a una dimensione mondiale, oggi non totalmente rappresentativa della dimensione mondiale, perché al W.T.O. aderiscono 80 Paesi, ma mancano alcuni dei più importanti da un punto di vista quantitativo, come la Cina.
Anche se è prevedibile, nei prossimi tre anni, l'entrata della Cina, ciò non significa che gli Stati nazionali perdono la loro funzione, perché gli Stati nazionali sono comunque un importante fattore di mantenimento dell'identità.
Uno dei temi più critici sui processi di identità è la perdita o la caduta di alcuni anelli di congiunzione che creano l'identità complessa; l'uomo non ha un'identità semplice, nessuno è ciò che è per il suo nome e cognome, è ciò che è per la sua famiglia, per il suo rapporto con la comunità locale, per il suo rapporto con il lavoro, per il suo rapporto con la cerchia di amici, per il suo rapporto con la comunità nazionale.
Il passo verso l'identità europea è, come dire, basato sulla forza e la salvezza dell'identità nazionale, il passo verso la cittadinanza mondiale è fortemente basato anch'esso sulla crescita della definizione di identità europea.
Lo Stato-nazione non perde con ciò tutte le sue prerogative, anche se in parte queste prerogative le devolve a fattor comune.
A inevitabili, in prospettiva, organismi di Sicurezza sovranazionali, bisognerà pensare nel momento in cui si faranno i passi verso politiche di Sicurezza, verso politiche estere comuni a livello europeo, quando i processi di integrazione a livello di libero commercio avranno fatto ulteriori passi avanti anche a livello mondiale, a mio giudizio.
Oltre ai temi tradizionali tipici, i Servizi di Sicurezza toccano comunque aspetti come dire consueti perché i problemi di conflitti locali probabilmente, come si sta dimostrando, crescono in fasi in cui si cerca di costruire un processo di integrazione internazionale per logiche cooperative, integrative.
Crescono i problemi, gli attriti tra religioni, etnie, culture, cose che non sono in sé e per sé facilmente superabili, o sono superabili soltanto nella prospettiva di rapida crescita economica di quelle aree, di rapida soluzione ai problemi di equilibrio tra esigenze e risorse.
Quindi, tutta quest'area della Sicurezza sicuramente non solo rimane in piedi ma presenta caratteristiche ancora più accentuate rispetto a quelle del passato, quando la minaccia era la "grande minaccia".
Oggi le minacce sono piccole ma virulente e, in ragione delle condizioni geoeconomiche in cui l'Italia si trova al centro del Mediterraneo, per l'Italia sicuramente sono più rilevanti che non per tanti altri Paesi. Questa è un'area di attenzione che rimane.
A quest'area come si aggiunge e in che misura si aggiunge la minaccia dell'economia?
L'economia e i processi di integrazione sono una grande opportunità e questo va detto, va ricordato, e io chiederei di non pensare solo in termini di difesa di interessi nazionali, perché nel momento in cui si ipotizza una soluzione di questo tipo, si va inevitabilmente verso derive di tipo autarchico.
Le derive di tipo autarchico sono incompatibili con il modello di competizione globale, di globalizzazione, al quale inevitabilmente andiamo incontro, ci piaccia o non ci piaccia. Quindi parlare di difesa di interessi nazionali dell'economia mi sembra, per così dire, assurdo, occorre fare difesa di competizioni leali che è un'altra cosa.
La difesa nella competizione leale è nell'interesse del nostro Paese, è nell'interesse della crescita dell'economia mondiale.
Allora quali sono i fattori che inquinano o possono inquinare la competizione leale, la "fair competition", la libera concorrenza?
Per usare termini consueti, sicuramente le infiltrazioni della grande criminalità economica, sicuramente il comportamento di stati criminali e il rischio dell'emersione di stati criminali.
Pensiamo e credo che tutti quanti voi possiate pensare nella vostra esperienza, non tanto, non soltanto, per così dire a quelle cose un po' folcloristiche che gli americani ogni tanto "suppongono" nei confronti di taluni Paesi arabi, ma agli intrecci che si stanno verificando tra sistemi politici un po' rozzi, un po' incolti, ex industrie di Stato meno rozze ed incolte e criminalità organizzate in alcuni Paesi dell'Est europeo, del lontano Est europeo, o ad altre situazioni possibili, laddove condizioni di non-democrazia, di non-trasparenza delle istituzioni politiche hanno consentito o possono consentire la presa di potere, a organizzazioni criminali o a loro, come dire, portavoce o portabandiera con successive utilizzazioni del Paese o di pezzi del Paese a fini di supporto della criminalità organizzata.
Questi sono - credo - i rischi più concreti. E la capacità di stati criminali o di organizzazioni criminali internazionali tra loro collegate di infiltrarsi nell'economia della finanza a fini evidentemente di accrescimento delle loro capacità economico-finanziarie, del loro potere. Questi, credo, siano i temi di grossa importanza, di grosso rilievo.
Dopodiché si potrebbe ancora pensare, - ma per questo avrei grande esitazione - che, poiché la politica estera di tutti i Paesi, è diventata politica economica proprio perché il mondo è cambiato, gli aspetti di integrazione sono divenuti prevalenti e preliminari, allora un'Intelligence di sostegno alla crescita dell'economia del proprio Paese sia utile e giustificata.
Esistono orientamenti anche dottrinari in questo senso, per esempio nel Nord-America. Io sono personalmente restìo a condividerli per come sono formulati, che cioè possa essere effettivamente utile, non sia invece controproducente.
A mio giudizio può essere controproducente. E in particolare può essere controproducente se la scommessa che si fa - ed è la cosa più giusta, a mio opinione - è che il processo di integrazione si basi su presupposti di "fair competition".
Se l'integrazione si fa su presupposti di "fair competition", una competizione attraverso l'Intelligence non mi sembra "fair" o potrebbe essere percepita come non "fair" da parte di coloro che ne fossero, come dire, destinatari o vittime.
Sicuramente, esiste una Intelligence economica ed è l'Intelligence che devono attrezzare e esprimere le aziende per le quali il confronto competitivo è vitale. Nelle logiche di parità totale, la prima cosa che si insegna alle imprese è il "match marking", cioè il confronto con la concorrenza, il confronto organizzato.
E' un problema delle aziende, è un problema degli organismi economici, i quali anch'essi devono avere come hanno le imprese la loro Intelligence.
La Banca d'Italia ha un'Intelligence; il Ministero dell'Industria dovrebbe avere un'Intelligence, così come dovrebbero averla il Ministero del Commercio estero, il Ministero degli Esteri.
Che cosa ancora si può pensare su questi temi fondamentali?
Sul piano dell'Intelligence economica, e qui concluderei, i grandi obiettivi possono e debbono essere quelli di contrasto nei confronti della malavita organizzata, perché oggi non credo esista ancora una figura di stato criminale così come ve l'ho identificata, ma il rischio che qualche cosa possa nascere concretamente c'è.
La difesa degli interessi nazionali è sostanzialmente prevenzione di infiltrazione, ma non può essere a difesa della cosiddetta integrità o nazionalità delle forze economiche, perché processi di integrazione devono consentire al capitale straniero di installarsi in Italia, così come devono consentire al capitale italiano di installarsi all'estero e non esistono, credetemi, in termini di strategia industriale settori che possono, debbono essere protetti da questo tipo di rischio, a mio giudizio, neppure quelli della Difesa, a esser chiari.
E attenzione a tutto ciò che viene a crescere, a essere in corso di definizione in termini di regole, perché l'attenzione alle regole può ridurre preventivamente e fortemente l'area di rischio sui due temi fondamentali che, a mio giudizio, esistono e cioè quello della diffusione della criminalità economica e della creazione ipotetica di stati criminali.


(*) Conferenza tenuta dal dott. Carlo Callieri, vice presidente della Confindustria, presso la Scuola di Addestramento del Sisde, Roma 19-3-97.

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